Da un paio di anni sono entrata sempre più a contatto col mondo dei disabili intellettivi, cioè persone con sindrome di down, affette da autismo, ritardo mentale di vario tipo e così via. Molte di queste persone hanno anche delle patologie mediche e/o delle deformazioni fisiche.
La prima volta che ho avuto contatti con delle persone disabili a livello intellettivo è stato difficile. Come comportarmi? Cosa devo aspettarmi? E tante altre domande.
Tramite degli amici, ho iniziato a conoscere l’ “Arche Internationale” e qualche sua comunità, tra cui quelle presenti in Italia a Bologna e Ciampino (Roma), ed una che sta nascendo a Cagliari ed è molto attiva, hanno un laboratorio di pasta fresca e organizzano parecchie gite di una giornata vacanze estive, ritiri a Pasqua.
Frequentando L’Arca ho capito che le persone con disabilità non sono dei “poveretti” di cui avere pietà, incapaci di pensare e fare. Hanno anche loro dei doni e sentimenti ed è giusto che possano esprimersi e donarsi per quel che è loro possibile, riconoscendo, utilizzando e potenziando le loro capacità.
Svolgendo delle mansioni assieme ai ragazzi e grazie all’esperienza di chi li conosce molto più di me, mi sono resa conto di come poterli aiutare ad utilizzare le loro capacità, senza però farli sentire inadeguati per il compito che dovevano svolgere. Bisogna avere pazienza e rispettare i loro tempi, dar loro suggerimenti sul modo di svolgere un compito, o aiutarli, quando sono in difficoltà ma non aspettarsi la perfezione, che nessuno di noi possiede, né “normodotati” né disabili!
Quante volte, purtroppo, non abbiamo la pazienza e la fiducia verso questi ragazzi e ci sostituiamo a loro per “velocizzare” l’esecuzione di un lavoro, perché si dovrebbe “perdere tempo” per spiegare loro come svolgerlo. Stando con questi ragazzi mi sono resa conto del fatto che hanno una grande sensibilità, percepiscono se vuoi loro bene, se credi in loro e cerchi di farne emergere le potenzialità, se non li consideri inferiori a te ma alla pari. Riporto due testimonianze a riguardo.
Una ragazza del gruppo è stata abituata a non far nulla in casa, ad avere sempre qualcuno che stia con lei qualunque cosa faccia, ad avere orari per tutto, a camminare tenendola per mano. A causa della disabilità fisica che ha, ovviamente non può uscire da sola, non può essere indipendente, però è stata abituata ad essere totalmente dipendente dalla persona che sta con lei. Al laboratorio che frequenta settimanalmente, e così anche al ritiro o vacanza, invece, si cerca di spingerla ad utilizzare le sue capacità, a non essere passiva, a cercare di farla ragionare e trovare le soluzioni a dei piccoli problemi, a camminare accanto agli altri senza essere tenuta per mano. Anche se a volte non vorrebbe dare una mano nelle pulizie o altro, spiegandole il motivo per cui le è chiesto di collaborare, lo fa. Nonostante questo, la gioia che ha nel partecipare ai ritiri/vacanze è tanta.
Un altro ragazzo, dal carattere riservato, alla sua prima esperienza con la comunità per più di un giorno, parlando con una volontaria, ha voluto ringraziare per i due giorni trascorsi insieme ed ha detto che è stato molto bene e che era contento. Quando lei gli ha detto che gli avevamo fatto fare anche dei lavori in casa e non solo divertimento, ha risposto dicendo che anche a casa sua svolge dei lavori domestici, però, ha aggiunto, in quei due giorni si è sentito “LIBERO”.
Mi sono rimaste impresse queste sue parole, le trovo stupende, ed è ciò che anch’io ho provato. Sentirci alla pari, non inferiori né da compatire, ma parte integrante della società, utili agli altri, con doni da poter condividere, fa sentire tutti noi più uomini/donne, più vivi, più felici.
Ho ricevuto davvero tanto da loro. Oggi posso dirlo: molto più di quello che io ho dato a loro.
Patrizia Renda