Crocifisso dei Miracoli
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Festa di Sant’Agata. Ritrovarsi nella gioia.

La festa della patrona catanese ha tutta la portata antropologica e culturale di un vero e proprio evento ove i confini tra sacro e profano sono, a tratti, sfumati.

Ma la componente della gioia è innegabile. E la liturgia assume quella caratteristica popolare che tanto le deve essere cara e tante volte è stata mal interpretata. Si potrebbe dire che, oscillando tra fede e devozione – a tratti velata di superstizione -, tutta la città è coinvolta in un “celebrare” corale. E ritorna ancora “quella gioia”. Soffusa, si disegna sui volti di chi, per i motivi più svariati, prende parte a questa coralità celebrante.

Suoni, sapori e profumi fanno da cornice a tutto questo. E come ogni liturgia che si rispetti, ecco gesti e rituali che si ripetono, apparentemente immutabili, ma con dentro una “dynamis” ogni anno diversa. Riti sacri e rituali laici si intrecciano come in una danza e ritmano i giorni della festa. E si ripetono le stesse consuetudini ogni anno.

L’andare, processionalmente, sui luoghi presunti del martirio e raccontarsi le varianti più fantasiose del martirio della giovane Agata. Ancora, i fuochi “d’a sira u Tri” e la cantata, la messa dell’aurora.  Già nelle prime ore della notte è possibile vedere devoti (con e senza il tradizionale “sacco”) e non, dirigersi quasi magneticamente verso la cattedrale. Pur nella calca della folla straripante, è possibile cogliere un’ intimità tutta speciale.

Il popolo attende la sua Agata che presto uscirà dal sacello.

Ancora, ritrovarsi attorno alla tavola, il giorno 5 Febbraio, per gustare il pranzo tipico di sant’Agata. Ricette antiche, alchimie arcane, una particolare fraternità. È un gioire anche del palato. Il corpo stesso celebra con i suoi cinque sensi.

E poi, ancora, camminare per la strada. All’odore della cera si mescola quello che esala dai chioschi con barbeques più o meno approntati, antesignani del moderno concetto di “street food”. Camminare e cercare “la santa” diventa argomento di conversazione amichevole con chi, magari, gli altri giorni è, e continuerà ad essere, un perfetto sconosciuto. Le urla dei devoti, ormai afoni, ed il silenzio durante il canto delle monache benedettine.

Sì, frammenti di un celebrare, popolarmente, la liturgia della vita e della gioia, magari non sempre coscientemente. Sì, la festa di sant’Agata ha le sue luci e le sue ombre e per coglierla bisogna andare al di là delle cose.

Ma quella immensa folla, che “celebra” per le strade, è forse il segno del bisogno del Divino che alberga in ciascuno di noi. 

Piero Figura

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