Una cittadinanza attiva nasce dalla consapevolezza piena e responsabile della propria condizione di uomo e cittadino e dalla conseguente “visione progettuale” della Città come luogo della storia di ciascuno e di tutti, come comunità volta al ben-essere comune.
In questo senso, una cittadinanza attiva nasce anzitutto in un autentico orizzonte sussidiario, il quale assume e traduce in termini che coniugano libertà e responsabilità, il dato fattuale ed ontologico che gli uomini non sono capaci, fuori da ogni comunità e nella condizione di atomi in solitudine, di raggiungere il proprio sviluppo e benessere e che tali obiettivi è possibile invece raggiungere con l’ausilio di enti intermedi e istituzioni politiche che rendano loro accessibili i beni necessari — materiali, culturali, morali, spirituali — per condurre una vita veramente umana.
Ne consegue inevitabilmente la necessità di (ri)comporre la sempre più profonda frattura tra società civile e politica e (ri)abilitare quest’ultima, riconoscendo appunto il suo spirito sussidiario e di servizio, attraverso la partecipazione e il dialogo, soli strumenti capaci di fare riemergere la naturale vocazione alla cittadinanza dell’uomo contro ogni malintesa antipolitica.
In questo contesto, pertanto, una responsabile critica agli strumenti della rappresentanza politica – attinente la degenerazione di essa che ha travolto la sua forma fisiologica per e nell’azione dei partiti politici italiani contemporanei – è certo giustificata ed appare perfino insuperabile fino a quando le stanze e le segreterie dei partiti rimarranno luoghi inaccessibili e impermeabili al rinnovamento, nelle quali si consumano, il più spesso in forma di faide, le procedure (così solo formalmente democratiche) selettive delle candidature, riducendo così lo status di cittadini a quello di meri sudditi postmoderni.
All’interno di una raffigurazione delle nostre radici identitarie, nei giorni in cui in più contesti nazionali dell’Unione si parla di lasciare l’Europa, emerge la percezione di una diffusa volontà di Europa a condizione che questa sappia tornare ad essere capace, secondo il proprio “destino”, di avere a cuore il futuro degli europei, se sia dunque l’Europa dei cittadini.
Progettare e costruire la “nuova via alla partecipazione” a partire dall’Isola, nei giorni in cui la Politica e l’idea di Europa rischiano il naufragio proprio nel Mediterraneo che ne è la culla, significa, per la sua storia e cultura, ritenere ed assumere infine che proprio la Sicilia possa rappresentare il Luogo della riabilitazione della Polis.
Tocca a ciascuno andare oltre ogni pur comprensibile disillusione e disaffezione dalla politica, che finisce per essere – ogni giorno di più – un enorme favore a tutte le consorterie che trovano nella formula della “democrazia senza partecipazione” anziché un ossimoro l’investitura più comoda; tocca a ciascuno riprendere responsabilmente il proprio destino insieme a quello delle generazioni future, se possibile costruendo reti con altre realtà civiche e parrocchiali affini, se necessario acquisendo alla Sicilia il ruolo di Laboratorio culturale e socio-politico.